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La coscienza si cerca nelle connessioni alla base del pensiero
Implicazioni per diagnosi e cura del coma
La coscienza non è nella corteccia prefrontale, fondamentale per il ragionamento e la pianificazione e finora considerata una delle regioni del cervello più promettenti in cui cercarla, ma potrebbe essere il prodotto delle connessioni tra le aree che elaborano la visione, situate nella parte posteriore del cervello, e le aree frontali, che trasformano quella percezione in pensieri: è la conclusione alla quale è giunto un esperimento durato 7 anni che ha coinvolto 256 persone, un numero senza precedenti per studi di questo genere, che ha gettato nuova luce sull'origine del pensiero cosciente. La ricerca, pubblicata sulla rivista Nature, ha messo a confronto due teorie avversarie, le principali finora formulate in questo ambito, ma i risultati non possono confermare o smentire in maniera decisiva nessuna delle due, lasciandole entrambe ancora sul tavolo. Lo studio, guidato da Christof Koch dell'Allen Institute americano, potrebbe anche avere implicazioni per la diagnosi e il trattamento di coma e stati vegetativi, aiutando ad esempio a rilevare la cosiddetta 'coscienza nascosta' nei pazienti non reattivi, una condizione che si verifica in circa un quarto dei casi. La prima delle due teorie confrontatenella ricerca è quella dell'informazione integrata, proposta nel 2004 dal neuroscienziato italiano Giulio Tononi , e secondo la quale la coscienza è frutto della capacità di un sistema, in questo caso il cervello, non solo di elaborare le informazioni ma soprattutto di integrarle in maniera unitaria. Di conseguenza la coscienza emergerebbe dal modo in cui le diverse aree del cervello sono collegate tra loro anziché da una singola area. La seconda teoria è quella dello spazio di lavoro globale, proposta alla fine degli anni '80 e che paragona la mente a un teatro nel quale il pensiero cosciente si prende la scena. L'attenzione agirebbe come un riflettore, illuminando di volta in volta i vari processi inconsci che operano in parallelo nel cervello. "Era chiaro che nessun singolo esperimento avrebbe potuto confutare in modo definitivo nessuna delle due teorie: sono semplicemente troppo diverse", afferma Anil Seth dell'Università britannica del Sussex, tra gli autori della ricerca. Anche "i metodi sperimentali disponibili - prosegue - troppo grossolani per consentire a una teoria di prevalere definitivamente sull'altra".
D.Kaufman--AMWN