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Parkinson, nanocorpi ripristinano un enzima chiave per i neuroni
Studio dell'Università di Padova apre a nuove terapie
Sviluppati dei frammenti di anticorpi (chiamati 'nanocorpi') in grado di ripristinare la funzione di una proteina cruciale per i neuroni che risulta difettosa nel Parkinson. Il risultato, che potrà aprire la strada a nuove terapie, è pubblicato su Nature Communications da un team di ricerca internazionale coordinato dall'Università di Padova e dal Vib-Vub Center for Structural Biology di Bruxelles. Uno dei più importanti fattori di rischio nello sviluppo della malattia di Parkinson è il malfunzionamento di un enzima chiamato glucocerebrosidasi, responsabile della degradazione di alcune classi di lipidi negli 'inceneritori' delle cellule, i lisosomi. Mutazioni nel gene che codifica per la glucocerebrosidasi possono destabilizzare o ridurre l'attività dell'enzima, causando l'accumulo di un materiale intracellulare non digerito che determina il danneggiamento delle funzioni cellulari di base. "Un modo per ripristinare la funzione della glucocerebrosidasi è di stabilizzarla o attivarla utilizzando i cosiddetti 'chaperoni molecolari', che sono delle molecole in grado di legarla", spiega Nicoletta Plotegher, docente del Dipartimento di Biologia dell'Università di Padova. "Tuttavia, la maggior parte degli chaperoni che esistono purtroppo legano il sito attivo dell'enzima, bloccando almeno in parte la sua attività, e questo limita enormemente la loro efficacia. Noi abbiamo sviluppato un approccio completamente nuovo per migliorare la funzione della glucocerebrosidasi, utilizzando dei 'nanobodies', che sono piccoli frammenti di speciali anticorpi prodotti dai camelidi. Più precisamente, grazie a un finanziamento della Fondazione Michael J. Fox, abbiamo identificato nanobodies in grado di stabilizzare o attivare la glucocerebrosidasi legandosi a regioni dell'enzima lontane dal sito attivo". I risultati dello studio dimostrano che i nanocorpi possono migliorare l'attività della glucocerebrosidasi in maniera significativa nelle cellule coltivate in provetta, e anche migliorare la funzione di una versione mutata della glucocerebrosidasi che è comunemente associata alla malattia di Parkinson. "I risultati sono ancora preliminari - sottolinea la prima autrice dello studio, Chiara Sinisgalli - ma ci permettono di immaginare nuove terapie per i pazienti affetti da Parkinson. Per trasformare queste scoperte in strategie innovative per trattare la malattia di Parkinson dovremo continuare i nostri studi, in particolar modo volti a sviluppare nuovi metodi per far arrivare questi nanobodies nelle cellule del cervello danneggiate".
D.Kaufman--AMWN